FELINA DICTATURA (2022)

Nel panorama delle iconografie digitali, Felina Dictatura istituisce un regime visivo in cui il gatto si erge a sovrano silenzioso del flusso contemporaneo. Non più semplice animale domestico, ma dispositivo simbolico, simulacro che si insinua tra algoritmo e desiderio, egemonizzando lo sguardo collettivo.

La serie dischiude il paradosso di un potere che non si afferma attraverso la coercizione, bensì tramite la tenerezza: un’autorità morbida, insinuante, che non impone ma persuade, convertendo l’adorabile in strumento di consenso. È la dittatura dell’inazione: il gatto domina proprio perché non agisce, perché abita l’immobilità come strategia di influenza, incarnando l’ideale di un carisma che non necessita di sforzo.

In questo teatro digitale, il felino diventa simulacro assoluto: immagine replicata, condivisa, ossessivamente circolata, fino a dissolvere la sua natura biologica in puro segno, in totem della postmodernità. La sua presenza invade la dimensione social con la forza di un’epifania iconografica, specchio enigmatico del nostro smarrimento esistenziale e della nostra necessità di proiettare altrove la fragilità del quotidiano.

Felina Dictatura mette così in tensione due poli complementari: la libertà inafferrabile dell’animale e la schiavitù performativa dell’umano. Il gatto non conosce algoritmi, non cerca approvazione, non misura il proprio valore in like: regna indifferente, e proprio per questo diventa il paradigma perfetto del contenuto post-umano.

La serie non racconta quindi di gatti, ma di noi: del nostro desiderio di indipendenza e della nostra resa quotidiana alla sorveglianza algoritmica. Nel regime estetico dell’adorabile, il felino diventa avatar di un futuro in cui l’essere umano, privato della sua centralità produttiva, si riduce a sfondo secondario dell’immagine stessa.

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